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Il Centro Peppino Impastato diffida l'ultimo libro di Saviano
Paolo Persichetti
Fonte: Liberazione, 14 ottobre 2010
14 ottobre 2010

Dopo Gomorra anche l'ultimo libro di Roberto Saviano, La parola contro la camorra, sta suscitando polemiche. Questa volta è il Centro Peppino Impastato a sollevare il problema con una diffida inviata all'editore Einaudi. Umberto Santino, presidente del Centro e antico amico e compagno di lotte di Peppino Impastato, lamenta le gravi inesattezze storiche presenti alla pagine 6 e 7 del volume dove si ricostruisce con una incredibile dose di superficialità la vicenda della riapertura delle indagini sull'assassinio nel maggio 1978 del giovane militante di Democrazia proletaria su ordine del boss di Cinisi Tano Badalamenti. Nella ricostruzione proposta da Saviano il merito di aver lacerato il velo di silenzio sulla morte di Impastato, consentendo anche la riapertura dei processi, viene attribuito per intero al film I cento passi di Marco Tullio Giordana, presentato al festival di Venezia nel settembre 2000. I due decenni precedenti, il fondamentale lavoro di controinformazione, condotto all'inizio in piena solitudine, dal Centro Impastato e dai suoi familiari scompaiono nel buco nero della storia. L'omissione, segnalano i legali del Centro, è tanto più grave perché l'operazione editoriale mira ad una diffusione di massa del testo che così contribuirebbe a edificare una riscrittura del passato contraria alla verità storica. L'infaticabile lavoro di denuncia del Centro Impastato aveva portato la commissione antimafia ad occuparsi della vicenda già nel 1998 mentre le indagini e i processi hanno tutti avuto inizio prima del film, che semmai ha coronato questo risveglio d'attenzione sulla vicenda. Saviano non è nuovo ad operazioni del genere. Quando non abbevera i suoi testi alle fonti investigative da mostra di evidenti limiti informativi. In un'altra occasione aveva anche raccontato di una telefonata ricevuta dalla madre di Impastato, «che abbiamo verificato non essere mai avvenuta» ha spiegato Umberto Santino. Quest'ultimo episodio ripropone nuovamente gli interrogativi sul ruolo di amministratore della memoria dell'antimafia che a Saviano è stato attribuito da potenti gruppi editoriali. L'inquietante livello di osmosi raggiunto con gli apparati inquirenti e d'investigazione, che l'hanno trasformato in una sorta di divulgatore ufficiale delle procure antimafia e di alcuni corpi di polizia, dovrebbe sollevare domande sulla sua funzione intellettuale e sulla sua reale capacità d'indipendenza critica. Saviano oramai è un brand, un marchio, una sorta di macchina mediatica in mano ad alcuni apparati. L'uomo Saviano sembra divenuto una marionetta, un replicante. Quest'ultima omissione non appare affatto innocente ma la diretta conseguenza di una diversa concezione dell'antimafia, risolutamente opposta all'antimafia sociale di Peppino Impastato. La verità sul suo assassinio venne a lungo tenuta nascosta anche grazie al depistaggio di carabinieri e magistratura. Un passato che con tutta evidenza il dispositivo Saviano non può più raccontare.