Rete Invibili - Logo
Ventuno anni dopo l'omicidio di Giuseppe Fava, le parole di "amici" e nemici diventano uno spettacolo
Gli invulnerabili di Catania
di Sebastiano Gulisano
Fonte: da Avvenimenti n. 50/2004
5 aprile 2005

"No, non ricordo un articolo che riguardava le rivelazioni di un pentito sull'omicidio Fava. So che ci sono state polemiche... ma io non leggo la cronaca nera del mio giornale... No, su quell'articolo non esercitai controlli... Io non esercito alcun controllo... Certo che ero amico di Fava... No, non so come si è giunti a questo processo... Lo so che state celebrando un processo per l'omicidio di un giornalista. E io sono estremamente rammaricato del fatto di non potere essere utile. Io, signor giudice, sono il padrone del giornale, mi occupo di mille cose, non dei particolari. E scrivo solo una volta l'anno, quando ci sono le elezioni...". Mario Ciancio Sanfilippo è il direttore-editore del quotidiano di Catania, La Sicilia. L'unico quotidiano della città. È stato presidente nazionale della Fieg, la federazione degli editori di giornali. Ed è stato tra i duecentosessanta testimoni ascoltati durante il processo per l'omicidio di Giuseppe Fava, anche lui giornalista e, secondo Ciancio, suo "amico". Fava, direttore del mensile I Siciliani, è stato ammazzato da un commando di killer di Cosa nostra il 5 gennaio del 1984, a Catania.

Anche Gaetano Zermo detto Tony fa il giornalista. Anche lui era "amico" di Giuseppe Fava. Zermo è l'inviato di punta del quotidiano etneo, "la penna di Ciancio" dicono a Catania. Anche lui è stato sentito dai giudici che processavano gli assassini di Fava: "Io ho un insegnamento - ha detto agli sbalorditi giudici -: al processo Tortora per associazione mafiosa a Napoli c'erano tre catanesi, killers delle carceri, Andraus, Nino Faro e Marano. Andai a parlare con loro, dietro le sbarre. Loro erano accusati di associazione camorristica e mi dissero: "Ma quale camorra, ma quale mafia, noi catanesi siamo". Cioè, da allora mi è rimasta questa etichetta qua, secondo cui Catania soffre di un'enorme, pericolosissima criminalità, perché non è nemmeno regolamentata bene, non ha un codice di comportamento, ma che chiamarla Cosa nostra mi pare un po' fuori posto". Insomma, per l'inviato di punta della Sicilia, "l'insegnamento" di tre killer vale più di qualsiasi sentenza giudiziaria che attesti che Cosa nostra a Catania c'era - c'è - eccome.
Ciancio, Zermo e Giuseppe Aleppo, che è stato assessore regionale all'Agricoltura, e Nitto Santapaola, il capo della famiglia catanese di Cosa nostra, e Maurizio Avola, che è stato killer del clan Santapaola e poi collaboratore di giustizia, e Salvatore Lo Turco, che è stato membro della Commissione antimafia della Regione siciliana e commensale di Santapaola. Le loro parole e quelle di altri "testi eccellenti" risuoneranno nel corso dell'"Istruttoria - Atti del processo in morte di Giuseppe Fava", lo studio drammaturgico che Claudio Fava e Ninni Bruschetta hanno allestito per il ventunesimo anniversario del delitto.
Ventuno anni. Una volta a ventuno anni si diventava maggiorenni. Nel 1975 questo confine tra la minore e la maggiore età è stato abbassato a diciotto anni e, proprio in quel 1975, ha contribuito non poco all'avanzata elettorale delle sinistre e del Pci in particolare. A quelle sinistre guardava Giuseppe Fava, giornalista e scrittore siciliano che quell'anno mandava in stampa uno dei suoi romanzi, Gente di rispetto (Bompiani).
Ventuno anni. Nel gioco delle grandi cifre non è nemmeno un anniversario, non sono dieci, venti, trent'anni ma ventuno. Non è cifra tonda. Una volta si sarebbe potuto dire: la memoria maggiorenne. Ma ora? "Ora - dice ad Avvenimenti Claudio Fava, figlio di Giuseppe, anche lui giornalista, scrittore, sceneggiatore del film I cento passi, europarlamentare Ds - c'è bisogno che le persone sappiano, ascoltino le parole che alcuni dei padroni di questa città hanno pronunciato nell'aula bunker, parole che nessuno ha letto sulla Sicilia, parole che quasi nessuno conosce". Sarà Giovanni Moschella a dare voce e volto ai personaggi inseriti nello spettacolo, lo stesso Moschella già splendido interprete in Il mio nome è Caino, l'adattamento teatrale che il regista Ninni Bruschetta ha fatto dell'omonimo romanzo di Claudio Fava. L'Istruttoria sarà messa in scena il prossimo 5 gennaio nel centro culturale Zo, a Catania.
Claudio Fava, la sorella Elena, gli altri familiari, gli amici, i colleghi, hanno dovuto attendere vent'anni per avere uno scampolo di verità giudiziaria. Un anno fa, infatti, a fine dicembre, la Cassazione ha reso definitiva la condanna all'eragastolo per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, "mandanti dell'omicidio". Una sentenza monca, orfana dei killer. Solo Maurizio Avola, reo confesso, ha patteggiato la pena (sette anni). Le sue parole sono risultate buone per farlo condannare, ma non per fare condannare anche gli altri membri del commando. Un controsenso. Una verità monca.
Hanno atteso pazientemente che si concludesse l'iter processuale e ora, nel primo anniversario di quella verità giudiziaria, ventuno anni dopo il delitto, un pezzo di quella verità sconosciuta ai più diventa opera teatrale, parla lo stesso linguaggio di Fava, di Giuseppe Fava, che è stato anche apprezzato autore teatrale. Non solo. Ricorda in qualche modo Ultima violenza, l'opera ambientata in un'aula di tribunale - una sorta di processo al potere - rappresentata allo Stabile di Catania poco prima della sua uccisione; l'opera a cui ha dedicato il suo ultimo editoriale sul mensile I Siciliani: "Anteprima dell'Ultima violenza, nella sala ci sono tutti i rappresentanti del potere nel territorio, i buoni e i cattivi, i giusti e gli iniqui, i galantuomini e i mascalzoni. Sulla scena, per tre ore, sfilano i personaggi equivalenti (...). Ovazione finale. Il clima morale della società è questo - annotava Fava nel suo editoriale -. Il potere si è isolato da tutto. Si è collocato in una dimensione nella quale tutto quello che accade fuori, nella nazione reale, non lo tocca più e nemmeno lo offende, né accuse, né denunce, dolori, disperazione, rivolte. Egli sta là, giornali, spettacoli, cinema, requisitorie passano senza far male: politici, cavalieri, imprenditori, giudici applaudono. I giusti e gli iniqui. Tutto sommato questi ultimi sono probabilmente convinti d'essere ormai invulnerabili".
Sia L'Istruttoria che Ultima violenza sono ambientate in un'aula di tribunale. Con una differenza: l'opera di Giuseppe Fava è invenzione, metafora; l'opera di Claudio Fava è realtà: le parole nude e crude di alcuni degli uomini del potere reale catanese pronunciate durante il processo per l'omicidio di un grande intellettuale siciliano, quale Giuseppe Fava è stato. A differenza di allora, però, è prevedibile che i personaggi protagonisti non saranno in sala ad applaudire, il 5 gennaio. Ma oggi, come allora - forse più di allora -, i potenti sono convinti di essere invulnerabili. E non solo a Catania.