Rete Invibili - Logo
Condanna esemplare...
Alessandra Fava
Fonte: Il Manifesto, 14 luglio 2012
14 luglio 2012

Dai 14 ai 6 anni e mezzo: in 10 pagano per tutti. Altri «suggestionati dalla folla»

All'inizio i devastatori erano 26, poi sono diventati 25, poi 10, ora 5. O meglio cinque sono i devastatori e saccheggiatori sicuri. Per altri cinque il processo torna in appello per un ricalcolo perché è stata accolta l'ipotesi formulata dai loro legali che abbiano agito nella «suggestione della folla in tumulto», anche se sono sempre accusati di devastazione e saccheggio. Morale: cinque vanno in carcere subito per un totale di 54 anni e 3 mesi, con pene da 14 a 6 anni e mezzo. Gli altri si vedrà. Finisce così il processo per i disordini di piazza al G8 genovese del 2001. Uscito dal Palazzaccio poco dopo le 19,30 appena ultimata la lettura della sentenza dopo cinque ore di camera di consiglio, uno dei difensori, l'avvocato Francesco Romeo, commenta «ingiustizia è fatta: è evidente a tutti l'abissale sproporzione tra le condanne a cittadini per reati commessi su cose, merci ed edifici rispetto al prezzo non pagato da chi, pochi giorni fa, non è stato condannato per aver torturato delle persone». Laura Tartarini aggiunge che «i manifestanti si prendono di più che per un omicidio preterintenzionale. La cosa più grave è che viene confermato che il danneggiamento se commesso nell'ambito di una manifestazione di piazza prevede una pena pesantissima rispetto allo stesso reato in altri ambiti. Trovo la sentenza molto preoccupante soprattutto dopo l'ipotesi di dare il Daspo a chi partecipa a manifestazioni». Per i cinque condannati si aprono le prigioni, non usufruiranno di nessuna riduzione al momento perché le pene sono troppo alte. L'avvocato Mirko Mazzali da Milano dice che «è una sentenza deludente, ha confermato l'impianto accusatorio dal punto di vista del concorso morale, attribuendo tutto quello che è avvenuto a Genova in quei giorni a poche persone e dal punto di vista politico-giuridico non è condivisibile».
I dieci, per cui è anche nata una campagna online per l'annullamento del processo che ha raccolto 30 mila firme, sono arrivati in Cassazione con la condanna complessiva in secondo grado di 98 anni e 6 mesi, quasi cent'anni. Non sono i black bloc che sfilavano irridenti con i tamburi, non sono quelli che hanno scorazzato per la città, non sono inglesi, francesi, tedeschi e svizzeri. Sono tutti italiani. Non si conoscono tra loro e come osservano i loro legali dalle riprese si vede chiaramente che non sono neppure vestiti di nero. I pm genovesi Anna Canepa e Andrea Canciani dopo aver setacciato video e materiale fotografico nel dicembre del 2002 avevano emesso avvisi di garanzia per 26 manifestanti. Di loro 23 ebbero delle misure di restrizione della libertà: 9 furono messi in carcere per sei mesi e poi sei mesi ai domiciliari, 4 ai domiciliari, 10 con obbligo di dimora e di presentazione alle autorità giudiziarie. Nel giro di un paio d'anni inizia il processo, tempi record se paragonato con quello Diaz o Bolzaneto. Il 14 dicembre 2007 ne vengono condannati 24 a 108 anni (quattordici manifestanti per danneggiamenti e dieci per devastazione e saccheggio). Alla fine del processo d'appello il 9 ottobre 2009 alcuni vengono assolti e viene riconosciuta la legittima difesa come reazione alle cariche violente contro il corteo delle tute bianche in via Tolemaide. Per alcuni l'impianto accusatorio era tanto debole che un avvocato difensore disse in aula che i suoi due assistiti avevano fatto un «concorso motociclistico». Il danneggiamento era ormai prescritto ma nelle maglie della giustizia restarono 10 imputati che in appello si presero persino di più che in primo grado col risarcimento dei danni materiali, morali e d'immagine per 23 mila euro ciascuno. L'episodio più grave è l'assalto al carcere di Marassi, dove viene infranto un vetro e lanciata una molotov dentro una stanza, senza danni a persone. A Genova la sentenza d'appello venne letta due giorni dopo l'assoluzione in appello dall'induzione al falso dell'allora capo della polizia Gianni De Gennaro e per l'allora capo della Digos Spartaco Mortola. Questa in Cassazione capita un mese dopo l'assoluzione in Cassazione di De Gennaro e Mortola e una settimana dopo le condanne definitive al volontariato nei servizi sociali dei poliziotti della Diaz. Quando si dice destini incrociati.