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Dieci presunti Black Bloc rischiano un secolo di carcere
Massimo Calandri
Fonte: Repubblica Genova, 12 luglio 2012
12 luglio 2012

PIAZZA Alimonda, l'assalto al carcere, le vetrine in frantumi, le auto bruciate. Il massacro dei pacifisti in piazza Manin, poi il vergognoso attacco al corteo di corso Italia, trecento e passa fermi. Dieci imputati, è tutto quel che rimane del 2001. Domani è il giorno della Cassazione, è l'ultimo atto dei maxi-processi del vertice internazionale. Condannati in appello a quasi un secolo di reclusione, i dieci - se la sentenza confermerà il secondo grado - potrebbero finire in galera nei prossimi giorni.
Undici anni dopo, le dieci presunte Tute Nere aspettano con comprensibile emozione il giorno del giudizio. Solo un paio di loro erano legati a gruppi antagonisti, gli altri - lo hanno ripetuto all'infinito durante i processi - si trovarono coinvolti nella guerriglia quasi per caso. Erano ragazzi, sono diventati adulti: qualcuno si è laureato, altri hanno trovato lavoro, messo su famiglia. Domani tutto questo potrebbe finire. In tribunale, a Roma, ci saranno diversi legali genovesi e liguri che hanno seguito le vicende giudiziarie dei «devastatori» di Genova - questa l'accusa mossa in origine dai pm Anna Canepa e Andrea Canciani, in un'inchiesta che ha riguardato danni contro le cose ma mai contro le persone -, che subito erano 25 ma poi la maggior parte è stata prosciolta durante i gradi di giudizio. L'avvocato Laura Tartarini, Raffaella Multedo. E Roberto Lamma, spezzino. Che difendeva due giovani palermitani - Antonino Valguarnera, Carlo Arculeo -, colpevoli di avere rubato una Vespa e con quella di aver seguito tutti gli scontri di strada: in appello sono stati condannati ad otto anni di reclusione. «Non sono più il loro avvocato, adesso li segue un collega romano, Sandro Gamberini. Ma verrò lo stesso a Roma, ci tengo troppo. La storia di quei due ragazzi me la porto dentro per tutta la vita». Perché Antonino e Carlo dopo Genova hanno ripreso la loro vita "normale", di sempre. Il primo, militare volontario in Bosnia, ha pure ricevuto un encomio. Poi si è laureato, adesso dirige un'associazione culturale e lavora. Il secondo gestisce un agriturismo. «Due bravi ragazzi. Innocenti», giura Lamma. Che non aveva mai visto condannare due suoi clienti innocenti, confessa, e da allora per l'amarezza e la frustrazione ha praticamente smesso di occuparsi di questioni penali. «Avevano rubato una Vespa. Ora rischiano di passare degli anni in prigione. Allora avremmo potuto chiedere il patteggiamento, ce la saremmo cavata con una pena più lieve senza il rischio del carcere: ma erano innocenti, e poi sarebbe stato tradire verso un ideale. Perché credevano di poter contribuire ad un mondo migliore. Non hanno mai fatto male ad una persona, e ora rischiano una condanna come se avessero ammazzato qualcuno».
In meno di un mese, la campagna "10x100. Genova non è finita. Dieci, nessuno, trecentomila" ha raccolto in un mese oltre venticinquemila firme (comprese quelle del collettivo Wu Ming, Erri De Luca, Margherita Hack, Elio Germano, Curzio Maltese, Daniele Vicari e Moni Ovadia) che saranno depositate domani in tribunale, chiedendo che venga annullata la sentenza della Corte di Appello genovese che il 9 ottobre 2009 «ha condannato 10 persone a pagare con 100 anni di carcere tutta la mobilitazione della società civile del G8 di Genova, affermando che le persone sono più importanti delle cose».