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Genova sei anni dopo...
Valparaìso di quel settembre 1973, Genova nel crepuscolo estivo di quel 20 luglio. Il sangue, l'odore del gas, la paura, il sentore del mare si mischiano in un'unica città
Bruno Rolleri
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)
16 luglio 2007

Qualche volta un vecchio tango arriva così. All'improvviso è l'infanzia e te lo senti sulle labbra. Una piccola radio nella bottega di un barbiere siciliano approdato a Valparaìso portato da chissà quale vento migratorio. O è questa garùa , una pioggerella un po' stanca; o forse sono i riflessi dei lampioni in questa Genova insolita per un crepuscolo estivo. O forse sono solo i ricordi a trascinarmi in un antico sconforto.
Il mio autobus mi sbuffa davanti, mi vedo riflesso nei finestrini e un brusio di folla incomincia a riempire la memoria di un altro luglio, forse di un altro settembre; lontani quanto le mie mani. Cerco di afferrare delle immagini ormai frastagliate come di amori perduti, odoranti di gas lacrimogeni, di limone, di fumo; di paura e di sudore. Ti ho pensata anche in quei momenti; anche quando non ti conoscevo... percanta que me amuraste ..., "donna che non mi hai voluto" (da "Mi noche triste", tango di Pascual Contursi, 1917 ndr ) quanto avrei voluto raccontarti questo: la luce del sole giova a questa scenografia terribile; la rende più tragica in bianco e nero. Non sono le ombre larghe dei container, né le ombre dei blindati che schiacciano il selciato là dove ieri c'erano le automobili e le bancarelle: è il peso dell'aria.
Chissà quanta pellicola avrò ancora nella Arriflex; cammino, solo per queste strade di cartapesta. So che non devo rimanere solo, ma sono giovane e ho una cinepresa in mano, e queste sono le mie città; ci sono le colline; c'è il mare, sempre; ed è lì dove qualche mattina bevo un bicchiere di vino e mangio un pezzo di focaccia. Più in là c'è El Pajarito , bar e ristorante per solitari dell'ora di mezzo: Valparaìso e vino rosso; Genova e vino bianco.
Calpesto ancora delle ombre; giro a destra. Poi da calle Serrano verso via della Libertà; poi lungo calle Esmeralda per entrare nella Plaza de los Héroes , Piazza della Vittoria. Ovunque gli uomini celebrano delle sconfitte. Ogni guerra è una sconfitta. Ogni luglio è ogni settembre; tutti i settembre, ovunque e sempre.
All'improvviso, sulla destra i passi di cento uomini in divisa, coperti, attrezzati. Battono i manganelli contro gli scudi, vengono da un altro pianeta. Copro la telecamera: la tengo in braccio come fosse un neonato. E' in funzione e fischio basso basso il tango di quella radio dell'infanzia, ..como con bronca y junando, de rabo de ojo a un costado... ,"come arrabbiato, ma guardingo, con la coda dell'occhio di lato"(da "El Ciruja", tango di Francesco Marino, 1926 ndr ) con la vecchia paura addosso e la voglia di un abbraccio, stasera, e dei tuoi piedi che si avvicinino ai miei. Mi sto innamorando di questa città in gabbia.
Quanta pellicola avrò ancora. In tasca ho dei rulli da trenta metri. Ora ho delle cassette. E' più facile sostituirle che nella Arriflex...come pesano queste gambe trent'anni dopo. Un lacrimogeno dall'alto, al rallentatore; e un altro. E' ancora lo stesso rumore degli elicotteri, prima del coprifuoco. La testa del corteo: « No a la guerra civil », « No pasaran », «No al G8»... Vado avanti come nei sogni affascinato da questa atmosfera di vuoto, di caduta senza fine...« el pueblo, unido ...oh bella ciao...».
In questa piazza ora scappano donne e ragazze; prima ballavano e cantavano; ho cambiato obiettivo alla Arriflex e la sento leggera e ora sono di nuovo giovane e ho pellicola abbastanza per provare a raccontarti gli occhi della paura: una ragazza con un braccio dondolante; gli uomini senza anima colpiscono un uomo a terra...«sono un medico», urla.... L'inquadratura lo fissa: rimarrà per giorni, per anni, nel mirino in bianco e nero delle mie notti infinite.
Un uomo anziano mi passa accanto, si copre gli occhi con un fazzoletto rosso... passa dalla parte destra dell'inquadratura e poi scompare, sono gli occhi della rabbia; gli uomini in divisa hanno lasciato la coscienza appesa all'armadio. Il giornalaio in corso Torino, dove compri il giornale dopo la mezzanotte; un rito corroborante in questa città quasi insulare dove ora scappano ragazzi, donne, bambini; dall'alto piombano i gas, poi l'elicottero si allontana e passa sopra l'arancio della casa di mia madre, a Valparaìso, in Cile, nel silenzio dei telefoni in questo settembre, l'11 del 1973.
Esseri travestiti come personaggi dei cartoni entrano ed escono dallo schermo; una donna sanguinante cerca qualcuno, e chiama ancora. Gli uomini in divisa scorrazzano, picchiano, calpestano; un ragazzo barcolla mentre si copre un'occhio con un fazzoletto gocciolante di sangue; la donna, smarrita, cerca ancora nella calca impazzita.
Piazza Alimonda. Solo il rumore dei miei passi. La stessa inquadratura di trent'anni fa. Davanti alla chiesa del Barabino recito Neruda, senza voce; mentre gli alberi si vergognano dico: « ... venid a ver la sangre por las calles , ...venite a vedere il sangue per le strade. Venite a vedere il sangue per le strade!».
Dove saranno gli altri, vorrei abbracciarli tutti; io so che più in là c'è il mare; e c'è una piazza; c'è il mercato e le scuole, e ci sono gli ascensori che ogni tanto mi portano a guardare queste due mie città dall'alto. Mi sto innamorando di questa città offesa.
La città e le sue ombre, altre ombre in calle Eleuterio Ramirez. In via Pisacane sfrecciano le ambulanze; ragazzi a torso nudo sopra i container urlano, imprecano. Una moto con due uomini a bordo mi sfiora: quello seduto dietro mi fissa, intuisco solo la sua voce minacciosa sotto il casco; porta un giubbotto con la scritta Press. Ha una pistola in mano. Sorrido: un fotoreporter giapponese misura la luce in via Ruspoli. Militari col mitra spianato controllano gli uomini per terra con le mani dietro la nuca mentre il fumo nero e denso continua uscire dall'ultimo piano del Palacio de la Moneda .
Una ragazza inciampa mentre scappa in corso Buenos Aires. Mi piacciono i suoi capelli ramati spostati di lato, e la sua maglietta; voglio un po' di vita, la guardo: i capezzoli nel palmo della mano...si fa così: si apre la mano, come fosse una farfalla intimorita e poi la si avvicina al capezzolo fino a sfiorare la macchia rosea dell'estate. Ma gli occhi verdi scompaiono dall'inquadratura e sono di nuovo gli uomini fuori-fuoco schierati in fondo mentre inizia a calare la sera e sono solo i fumi neri e i cocci.
Questa strada ora è un tunnel; un muro di metallo cerca di impedire perfino i pensieri. Quasi non si vede il mare... quant'è bella questa città straniera; è mia ormai. Alberi e nessuno mentre mi avvio verso piazza Sarzano, sirene in lontananza, imposte chiuse. E' la paura. Strada interminabile verso un'altra notizia: hanno attaccato la scuola Diaz.
C'è dell'altro, ma ora chiudo il mio taccuino, accarezzo il mio bicchiere. E' ancora la garùa di piazza Ferretto, a Genova. Ed è un altro luglio; forse un altro settembre, e ti aspetto in questo bar, senza conoscerti: si chiama El Cinzano e a quest'ora si beve in solitudine. Più tardi si suona il tango e si balla; e vengono da Voltri, dal Lagaccio, da Playa Ancha e da Vigna del Mar ad ascoltare, a bere e a sognare. Dentro c'è un bandoneòn que rezonga aspettando la notte: ... como con bronca y junando . Quanto avrei voluto raccontarti questo. Domani ci sarà il sole, dicono. Mi sto innamorando di questa città, bisogna che io parta. Al più presto.



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