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Genova, uno a zero per "loro" e sei anni di domande inevase
Chi diffuse veline prima e durante il G8? Chi decise l'attacco a tutti i cortei? Chi sparò a Carlo Giuliani? Chi stabilì la mattanza alla Diaz? Perché non si indaga sulle armi improprie? Che ci facevano i defender in Alimonda? E quale fu il ruolo di De Gennaro, di Fini e Castelli?
Checchino Antonini
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)
7 luglio 2007
«Uno a zero per noi, yeah!». Le due giovani poliziotte non potevano saperlo ma le loro voci, registrate la notte della mattanza alla Diaz, avrebbero fatto piazza pulita, più di un libro bianco contro la repressione, su un decennio di fiction ispirate - e supervisionate - dai piani alti del Viminale e di Viale Romania, e di quotidiani proclami sulla professionalità delle forze dell'ordine.

Spararle grosse prima di sparare davvero
Sei anni dopo, i dubbi sono ancora tutti in attesa di risposte giudiziarie e politiche. La memoria è un ingranaggio da aggiornare alla luce di frammenti che vengono fuori anche da altre vicende. La storia del Sismi, ad esempio, che intercetta(va) anche le mosse dei movimenti sociali e devia(va) le informazioni. Così la nostra prima domanda potrebbe essere su chi e come mandava in giro falsi scoop sui no-global pronti a lanciare aerei all'interno della zona rossa o sacche di sangue infetto contro i servitori dello stato. Prima mossa di ogni strategia della tensione: spararle grosse prima di sparare davvero. Il più basso in grado dei piantoni alle grate della zona rossa imparò a biascicare in quei giorni: «Tanto ci scappa il morto!». Chi glielo aveva predetto? Certo non tutti potevano sapere tutto della strategia da attuare contro il Genoa social forum.
Il caos, a leggere le intercettazioni e le testimonianze, pare un alleato fidato di chi ha il compito di sospendere lo stato di diritto, così pure la paura instillata nelle reclute e/o il senso di impunità e di odio che sprizza da cuori come quelli delle due poliziotte registrate. Chi sapeva un bel po' di cose poteva essere inquadrato nei reparti speciali, costutiti per l'occasione, guidati da veterani di guerra e protagonisti di alcuni episodi chiave della più grande violazione dei diritti umani mai vista in Occidente dal '45, come ebbe a dire Amnesty International. I carabinieri arrivano a Genova con 5 Ccir (Compagnie di contenimento e intervento risolutivo), ognuna 4 plotoni di 50 uomini dei battaglioni Lazio, Lombardia, Toscana, Campania, Sicilia. Solo un terzo di loro sono militari di leva come Placanica, che dirà d'aver sparato a Carlo. In casa ps si crea per il G8 il VII Nucleo sperimentale antisommossa del I Reparto mobile di Roma, comandato da Canterini, addestrato da istruttori della polizia di Los Angeles, dotati di nuovo equipaggiamento, fra cui i manganelli "tonfa".

Cariche senza ragione
Ora i fatti di Genova sono scartoffie di tribunale, visto che una vera inchiesta parlamentare è ancora in alto mare malgrado sia nel programma dell'Unione. Dell'altra indagine parlamentare, quella stabilita all'indomani dei fatti, si salva poco, tanto era blanda. L'indagine conoscitiva, infatti, non ha i poteri di una commissione d'inchiesta che funziona come un tribunale. E lo sapeva bene il forzista che la presiedette, Donato Bruno, quando lo ripeteva ai pezzi da 90 sentiti in audizione. Allora cosa salviamo di quell'indagine? Salviamo un pezzo di carta della questura che spuntò da un faldone e dimostrò che il corteo delle tute bianche che scendeva dal Carlini era autorizzato fino a Brignole. Dunque era in una zona consentita, almeno 500 metri, quando è stato attaccato, ben lungi dallo sfondare la zona rossa come sostenuto dai fabbricanti di versioni ufficiali. Anche l'accusa ai 25 manifestanti imputati di devastazione e saccheggio, pena da 8 a 15 anni, punta a restituire un quadro in cui la polizia cerca di arginare come può pericolosi teppisti.
Le carte dicono quasi sempre il contrario. Dicono che l'ordine pubblico fu messo in crisi da chi lo avrebbe dovuto garantire. E chi ha reagito lo fece per difendersi dagli atti arbitrari del pubblico ufficiale, legittima difesa. Parola di codice penale.
La situazione precipitò all'indomani del corteo dei migranti del 19 luglio, che tutto andò liscio e fu bellissimo. Il 20 luglio è il giorno delle azioni diffuse, quasi tutte a levante della zona rossa. Il blocco nero si materializza tra il mare, a sud e Marassi, a nord, oltre la ferrovia che taglia Genova in due, da est a ovest. La Questura gli mette alle calcagna i carabinieri del Lombardia e i celerini di Firenze e Bologna. Questi non arriveranno mai a Marassi ma sbucheranno in Piazza Manin per carticare le "mani bianche», preti, equosolidali, lillipuziani, femministe, blocco pink. Saranno botte da orbi e ingiustificate, con lacrimogeni sparati dai balconi della piazza. I carabinieri, invece, deviano prima della ferrovia, all'improvviso, verso i disobbedienti su Via Tolemaide. Registrato su un nastro, c'è lo sconcerto della sala radio della questura che chiede ragione della svolta a est. La carica è a freddo e senza trattativa con il gruppo di contatto di parlamentari che precedeva il corteo.
I manifestanti si sono trovati con poche vie di fuga a sinistra e il muro della ferrovia a destra. E i militari sparavano e usavano armi improprie (pezzi di ferro truccati da manganelli con lo scotch nero) o usavano impropriamente le armi proprie (lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo). Perché non c'è alcun fascicolo per questi reati? Che ne è stato del coordinamento tra polizia e carabinieri visto che la prima carica è stata ordinata da un ufficiale dei cc e non dal funzionario di ps? C'entra qualcosa che il vicepremier Fini e un deputato di An, Ascierto (già maresciallo dei cc e con un sito all'epoca collegato a robacce antisemite) fossero in quelle ore in visita a Forte S.Giuliano?

La pistola e l'estintore
Dopo tre ore, un funzionario di ps (lo stesso che accuserà un manifestante di aver ucciso Carlo a sassate) decide la carica a piazza Alimonda con 70 carabinieri del Sicilia stanchissimi che, alla reazione dei manifestanti, ripiegano scompostamente lasciandosi dietro 2 defender non idonei per l'ordine pubblico. Perché erano lì? Su uno dei defender c'è il tenente colonnello Truglio, il più alto in grado tra i carabinieri del G8, dopo il colonnello Leso. Truglio più Cappello e Mirante, che guidavano i 70 in Alimonda, sono espertissimi di teatri di guerra. Come è stata possibile una manovra tanto insensata quanto pericolosa?
Dal retro di uno dei defender, che sembra incagliato in piazza ma poi scomparirà in una manciata di secondi, sbuca una pistola ben impugnata e i testimoni diranno che qualcuno gridava ai "comunisti" che li avrebbe ammazzati tutti. Carlo la vede. C'è un video molto nitido, curato da suo padre Giuliano Giuliani, in cui si vede Carlo che si china sull'estintore senza perdere di vista quella pistola. Un attimo dopo è morto. Un giudice, due anni dopo, di maggio, dirà che era legittima difesa e negherà un processo pubblico senza dare risposte su chi realmente sparò, sulla natura del proiettile e sul perché i mezzi di alcuni veterani di guerra si trovassero dove non dovevano. Anzi, l'archiviazione prova ad avallare l'ipotesi dell'"asteroide": che l'arma fosse stata rivolta verso l'alto ma un sasso vagante avesse deviato il proiettile sul ventitreenne.

La notte cilena
Ma il grumo di domande più consistente si concentra sulla mattanza alla scuola Diaz, il 21 luglio, dopo una giornata di violenze di strada inaudite e senza precedenti. Dopo il tramonto centinaia di poliziotti dell'anticrimine, della digos, celerini e quant'altro, fanno irruzione nelle due scuole dirimpettaie di Via Battisti. In una ci sono il media center, l'infermeria e l'ufficio dei legali del Gsf. Qui il blocco blu, con qualche infiltrato all'interno, ruberà i computer degli avvocati. La versione ufficiale parla di un errore ma dei pc non ci saranno mai più tracce. Nell'altra scuola ci dormono alcuni manifestanti. 43 saranno massacrati brutalmente e arrestati con altri 50. 93 arresti illegittimi, diranno i magistrati. Non ci fu alcuna sassaiola a giustificare l'irruzione, come detto in principio, e nemmeno c'erano black bloc nella scuola e le prove mostrate alla stampa erano attrezzi di un cantiere in corso nella stessa scuola, coltellini da campeggio e due molotov portate lì dalla questura, per giustificare la «macelleria messicana», termine usato sei anni dopo da uno degli imputati che ammetterà di aver taciuto per «amor di patria».
La truppa, però, era travisata, irriconoscibile. Così, sul banco degli imputati figureranno solo 28 pezzi più o meno grossi - i capi della Celere, Canterini e Fournier - alcuni grossissimi, come il futuro capo dell'antiterrorismo, Gratteri, vicinissimo all'ex capo della polizia De Gennaro. O il prefetto La Barbera, predecessore di Gratteri che morirà prima del processo. La difesa fa ostruzionismo sulla possibilità di ricostruire la catena di comando e, da alcuni mesi, le deposizioni fanno convergere proprio su La Barbera e su un vicequestore, Murgolo, la cui posizione è stata stralciata, le maggiori responsabilità. L'ex questore di Genova, Colucci (uno dei più "disinvolti" durante l'indagine conoscitiva della camera), stravolgerà le prime dichiarazioni fino ad essere sospettato di falsa testimonianza. A indurlo in quel reato, secondo i magistrati, nientemeno che De Gennaro che, poche ore dopo l'iscrizione al registro degli indagati, diventerà capo di gabinetto del ministro Amato. Sabato prossimo sarà in tribunale a Genova. Quella notte, il suo portavoce sbarrava il passo a cronisti, parlamentari e legali giurando che fosse solo «una normale perquisizione».

Il lager degli orrori
Intanto, gli arrestati in strada e alla Diaz, spesso dopo essere stati torturati in ospedale da finti medici e infermieri, transitavano a Bolzaneto, una caserma della celere tramutata in carcere provvisorio. A partire da settembre sfileranno in aula i 45 imputati per le violenze fisiche e psicologiche inferte agli arrestati da appartenenti a tutte le forze dell'ordine, medici e infermieri. Nella notte della Diaz, per Bolzaneto passò il ministro guardasigilli, il leghista Castelli. Beh, lui dice di non essersi accorto di nulla ma se gli facevi notare che c'era gente costretta a stare in piedi faccia al muro, a digiuno, insultata, picchiata, terrorizzata, lui rispondeva che pure i metalmeccanici stanno in piedi. Ma mica fanno tutte 'ste storie.