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Gli studiosi di Ordine pubblico: confermata la gerarchia del disastro del G8
«Resta l'idea assurda di esportare nelle piazze le tattiche antimafia»
Sara Menafra
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)
26 giugno 2007

Rifondazione comunista è soddisfatta. I capigruppo di Camera e Senato hanno spiegato più volte e senza adombrare dubbio che il prefetto con indubbi meriti di carriera Antonio Manganelli «è in netta discontinuità con il g8 di Genova», per dirla con le esatte parole del capogruppo di palazzo Madama Giovanni Russo Spena.
Se però provate a girare l'assioma «via De Gennaro= via i problemi su g8 e ordine pubblico della Polizia italiana» fuori dalle aule del parlamento, non solo a quel che resta del movimento ma a qualcuno degli studiosi che si occupano di ordine pubblico e polizia italiana, nessuno sembra convinto che questo regga alle prove della logica. «Focalizzare l'attenzione totalmente su De Gennaro è un errore tipico della sinistra italiana in questi anni», dice la professoressa Donatella Della Porta, autrice tra l'altro del testo edito da Il Mulino Polizia e protesta. L'ordine pubblico dalla Liberazione ai «no global»: «In realtà il fatto che Antonio Manganelli sia stato un ottimo poliziotto antimafia non garantisce niente sulla capacità di gestione dell'ordine pubblico, come del resto era accaduto per De Gennaro che arrivava da un percorso analogo». Della Porta ha deposto giusto una settimana fa al processo contro venticinque manifestanti accusati a Genova (a vario titolo) di devastazione e saccheggio, spiegando in aula le dinamiche della gestione dell'ordine pubblico nelle giornate del 20 e 21 luglio 2001.
A sentir lei tra i tanti errori di quelle giornate, uno dei più gravi è stato quello basato sull'idea che organizzazioni apprese nella gestione della guerra alla mafia o alla violenza negli stadi, e discutibili anche in quegli ambiti, si potessero esportare nella gestione delle piazze. E' con questa idea in testa, spiega, che qualcuno ha pensato di affidare anche ai Gom, i corpi speciali della polizia penitenziaria creati per il trasporto di detenuti mafiosi, la gestione della caserma di Bolzaneto in cui vennero radunate e torturate decine di manifestanti rastrellati nelle strade genovesi. «I metodi che avevano, a partire dalla scelta di mettere i manifestanti faccia al muro, erano esportati dalle tecniche della lotta alla mafia». Presa a prestito da contesti che con la politica c'entrano poco era pure la scelta di chiudere i luoghi da proteggere con dei cordoni di polizia. «Le tecniche della repressione negli stadi non si riconoscevano solo nel modo di menare le mani in piazza. E' l'idea stessa di chiudere gli spazi da tutelare con barriere e cordoni di polizia che riporta alla memoria lo stadio». Non è neppure vero che queste modalità di gestire le strade e le manifestazioni fossero presenti anche prima dell'arrivo di De Gennaro al vertice della polizia. Anche se dalla fine degli anni '80 la nascita dei centro sociali aveva inizialmente portato all'aumento dei conflitti di piazza, alla fine degli anni '90 la scelta di alcune parti del movimento di trasformare i conflitti rendendoli soprattutto simbolici è stata una evoluzione «consentita dalle forze di polizia che potevano far saltare la scelta in qualunque momento, come ha dimostrato Genova».
Poi c'è il problema della conferma alla catena di comando. Salvatore Palidda (Polizia postmoderna, Feltrinelli) ci mette poco a spiegare che il punto non è neppure solo l'inchiesta che la procura di Genova ha aperto un mese fa su De Gennaro: «Va avanti la stessa gerarchia che ha promosso i capi della polizia che erano in piazza quei giorni. In nessun paese democratico un pubblico ufficiale sotto processo rimane al suo posto. Noi li promuoviamo, addirittura. Eppure se nella mia università un professore accusato di molestie rimanesse al suo posto scoppierebbe un casino». Anche a sentir lui l'aver portato in piazza le esperienze della lotta alla criminalità organizzata è stato uno degli errori principali di quei giorni «a partire dalla scelta di affidare la gestione di tutto ad Arnaldo La Barbera, uno che non aveva alcuna esperienza di gestione dell'ordine pubblico. Un bulldog della repressione della criminalità organizzata i cui metodi erano stati messi in discussione già in Sicilia. Solo che quando si parla di lotta alla mafia nessuno si scandalizza e tutto diventa accettabile».
Aldo Giannuli, professore di storia all'Università di Bari e più volte consulente della commissione stragi una lancia a favore di Manganelli la spezza: «E' indubbiamente il più dialogante ed indipendente tra gli uomini dell'entourage di De Gennaro. Ma il governo ha confermato la fiducia in un gruppo di potere che esercita la sua influenza con forza. E fa la sua guerra attraverso le istituzioni».