Rete Invibili - Logo
Aldrovandi, per il pm fu omicidio colposo
Checchino Antonini
Fonte: Liberazione, 11 gennaio 2007
11 gennaio 2007

Omicidio colposo. Federico Aldrovandi, diciottenne incensurato, pacifico, disarmato, sarebbe stato ucciso dagli eccessi e dalla colpa di quattro agenti di polizia all'alba del 25 settembre del 2005 davanti al cancello dell'ippodromo di Ferrara.
Per il pm Nicola Proto, che ha ereditato l'inchiesta dopo la rinuncia della prima pm, fu omicidio colposo ma il dispositivo dell'avviso agli indagati di conclusione indagini sembra descrivere quasi un omicidio preterintenzionale per come sono gravi le condotte degli agenti descritte nel documento recapitato ai componenti delle volanti Alpha 2 e Alpha 3, intervenute quella notte su chiamata di privati cittadini che segnalavano la presenza di un «giovane molesto». La colpa dei quattro agenti - il più anziano ha 46 anni, la più giovane, e unica donna, quattro di meno - è «consistita nell'eccedere i limiti dell'adempimento di un dovere», si legge nell'avviso firmato congiuntamente dal pm e dal capo della procura estense, Messina. «In cooperazione tra loro e consapevoli ciascuno della condotta altrui» le condotte descritte avrebbero «cagionato o comunque concorso a cagionare il decesso di Federico Aldrovandi determinato da insufficienza cardiaca conseguente a difetto di ossigenazione correlato sia dallo sforzo posto in essere dal giovane per resistere alle percosse sia alla posizione prona con polsi ammanettati che ne ha reso maggiormente difficoltosa la respirazione».
In particolare, gli indagati hanno omesso di richiedere immediatamente le necessarie prestazioni mediche a favore del ragazzo, descritto dagli stessi agenti in stato di evidente agitazione psicomotoria. Invece, «in maniera imprudente hanno ingaggiato una colluttazione con Federico Aldrovandi al fine di vincerne la resistenza eccedendo i limiti del legittimo intervento; in particolare - è sempre il dispositivo di fine indagine - pur trovandosi in evidente superiorità numerica, percuotevano Federico Aldrovandi in diverse parti del corpo facendo uso di manganelli (due dei quali andavano rotti) e continuando in tale condotta anche dopo l'immobilazione a terra in posizione prona». Non solo non avrebbero chiesto i soccorsi, ma i quattro indagati avrebbero anche «omesso di prestare le prime cure pur in presenza di richiesta espressa da parte di Aldrovandi che in più occasioni aveva invocato "aiuto" chiedendo altresì di interrompere l'azione violenta con la significativa parola "basta", mantenendo al contrario lo stesso Federico Aldrovandi, ormai agonizzante, in posizione prona ammanettato, così rendendone più difficoltosa la respirazione».
Così, dunque, il dispositivo che chiude l'inchiesta faticosissima sbloccata dopo cento giorni di assordante silenzio dal blog messo su da Patrizia Aldrovandi, da suo marito Lino e dagli amici di Aldro. Quel blog rimbalzò su Liberazione e sulla rete di media e attivisti che segue i processi del G8. Da allora anche a Ferrara s'è sviluppato un piccolo laboratorio di democrazia partecipata che ha dato vita non solo a diverse manifestazioni in varie città ma ha pure consentito l'emersione delle testimonianze inibite dal contegno della questura che s'era arroccata su una versione ufficiale, quella del malore fatale causato dalla droga, ripetutamente rettificata (cosa difficilmente configurabile come reato ma significativa dello stato dei rapporti in Italia tra forze dell'ordine e cittadini). Di droga, comunque, non parla affatto il documento che prelude, quasi certamente, al rinvio a giudizio per quattro poliziotti che adesso hanno venti giorni di tempo per depositare memorie, cosa che certamente faranno, e chiedere di essere interrogati, cosa che potrebbero concordare col pm. Sarà quest'ultimo, al termine delle procedure, a chiedere al gip il rinvio a giudizio o l'archiviazione. «L'importante è arrivare a un processo», dice Patrizia Aldrovandi che si riconosce nella descrizione fornita dal pm: «E' quello che abbiamo sempre detto!».
«Tutto ciò è agghiacciante perché agghiacciante è il film dell'ineccepibile incidente probatorio (nel quale è stata ascoltata la teste chiave, una donna camerunense, ndr) - aggiunge Fabio Anselmo, uno dei legali della famiglia - ma è stata una battaglia così dura che rischia di far perdere il senso di una tragedia assurda: siamo così impegnati a ottenere la verità che rischiamo di scordarci di Federico». «Molto perplesso sul profilo causale», invece, il legale di uno degli agenti indagati, Gabriele Bordoni che, al massimo, scoverebbe un'«incidenza concausale» nella condotta delle volanti. Bordoni si dice «incuriosito dalla sindrome strana» cui accennava la perizia, l'ipossia, «uno stress innescato dall'intervento di polizia in sé in una persona che al momento non stava bene. Sappiamo di alcuni precedenti ed esiste un'ampia bibliografia negli Usa»