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Caso Aldrovandi, «contributo» degli agenti alla morte di Federico
Fonte: Liberazione, 15 dicembre 2006
15 dicembre 2006

«E' ormai chiaro che nel meccanismo mortifero si sono inserite attività umane, che la colluttazione con gli agenti ha dato un contributo causale alla morte di Federico», dicono gli avvocati della famiglia Aldrovandi uscendo da Palazzo di giustizia dopo quattr'ore di udienza. E' un po' meno misterioso, da ieri, il violento e misterioso "controllo" di polizia in cui incappò Aldro all'alba del 25 settembre 2006. Però ci sono voluti quasi15 mesi perché le parti potessero confrontarsi a porte chiuse su una perizia medico-legale. E' stato l'ultimo atto dell'incidente probatorio nell'ambito delle indagini preliminari disposte dalla gip Silvia Giorgi. Ora l'eventuale rinvio a giudizio (cosa che si aspetta la famiglia della vittima), o la meno probabile archiviazione, dei quattro agenti indagati per omicidio preterintenzionale, spetta al pm Nicola Proto che ha ereditato le indagini in primavera dopo l'abbandono della collega che seguì il caso nelle prime, controverse, fasi.
Centouno giorni di assordante silenzio fecero seguito alla notizia della morte di un ragazzino maggiorenne da sessantanove giorni. La questura disse che era overdose, corresse il tiro dipingendo la scena di un energumeno esagitato, oltre che drogato, che s'aggirava dalle parti di via Ippodromo. L'accorrere, una dopo l'altra di due volanti fu descritto come un intervento di soccorso. Ultimi ad arrivare, prima dell'ambulanza, furono i carabinieri di una gazzella che trovarono due agenti ancora intenti a bloccare il corpo ormai inanimato di un giovane ammanettato dietro la schiena. Così lo trovarono gli operatori del 118. Già chi dovette riconoscere il corpo dubitò del "malore fatale". Un giornale locale titolò timidamente: «Federico sfigurato», il questore fu «costretto a fare le rimostranze al capopagina». E finì lì, ufficialmente per rispettare il volere di una famiglia sotto choc. Era gennaio, ormai, quando Patrizia Aldrovandi aprì quello che sarebbe diventato uno dei blog più cliccati d'Italia. Era la prima mossa di una faticosissima controindagine che avrebbe dato una svolta alla vicenda.
Lo ricorda ancora Fabio Anselmi nella conferenza stampa del pomeriggio che fa il punto dell'incidente probatorio che, in attesa della perizia, aveva ascoltato, a giugno, Annemarie Tsagueu. Un «contributo di verità fondamentale» quello della trentacinquenne camerunense che abitava di fronte al cancello dell'ippodromo, unica finora a raccontare esplicitamente la seconda fase del "controllo": Federico che attraversava le forche caudine di quattro manganelli, due dei quali non "sopravvissero" al "controllo di polizia". Andò a terra in un attimo. Ora anche la perizia stabilisce che la "Excited delirium sindrome", morte improvvisa (studiatissima negli States dove colpisce soggetti in stato di arresto o ricoverati in manicomio) per insufficienza funzionale cardiorespiratoria dovuta ad agitazione psicomotoria e a costrizione fisica, «è stata determinata anche dall'intervento delle volanti», spiega Alessandro Gamberini, altro legale di casa Aldrovandi, che lascia l'aula consegnando ai cronisti un interrogativo cruciale: «Perché un ragazzo in evidente stato di sofferenza psicofisica fu trattato come uno che sta rapinando una vecchietta? Perché il 118 è stato chiamato così tardi?».
In realtà, della perizia «era indispensabile chiarire alcuni punti - avverte Riccardo Venturi, anche lui del team di parte civile - ci sono parti equivoche, altre monche, altre scontate. Insomma, da presupposti chiari s'è arrivati a conclusioni criptiche». Grazie all'udienza, in un clima giudicato sereno da tutte le parti, secondo la parte civile sarebbe stata esclusa «l'efficacia causale e concausale del mix di droghe e alcool», una tesi cara anche al procuratore capo che s'è affacciato all'udienza solo a telecamere spente.
Unico consulente assente, il medico ferrarese Avato che scrisse la prima consulenza che enfatizzava il ruolo delle sostanze. Mentre i legali degli agenti escono dal tribunale praticamente senza parlare, «non si fanno i processi a mezzo stampa» (ma senza stampa non si sarebbe fatto nemmeno questo incidente probatorio), Anselmo e Venturi annunciano che il dibattimento avrebbe chiarito che la carenza d'ossigeno, l'ipossia che causerà l'ischemia cardiaca, fu dovuta a «colluttazione, contenimento, traumi». Se ci fu agitazione psicomotoria? «Certo, era panico, meccanismo terrorifico, come lo chiama la perizia, di uno che sa di lottare per la vita». Infatti chiedeva aiuto Federico. Si andrebbe dunque, ben oltre l'asfissia posturale ipotizzata dalla prima consulenza dei periti della parte civile: «C'è un nesso chiaro con il contesto violento». Potrebbe essere stata determinante la traduzione, disposta negli Usa da Anselmo e Venturi, di uno studio citatissimo nella perizia e che spiega il rilievo notevole di traumi e colluttazioni nelle morti per Eds. Sarebbe ancora vivo se non avesse incontrato le due volanti? «Lo sapevate già», conclude Venturi.
«Dopo tutti questi passaggi vorrei che chiediate perché siamo stati presi in giro - dice Patrizia Aldrovandi - vorrei lo chiediate al questore di allora, e al capo della mobile: fu lui a illustrarci, 24 ore dopo, la versione dell'overdose e del "soccorso"». A Lino Aldrovandi, ispettore della polizia municipale, risuonano ancora le parole di quel giorno: «Succede nelle migliori famiglie, così mi disse, ma cosa succede nelle migliori famiglie?».