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Insultata la madre di Federico Aldrovandi
Checchino Antonini
25 giugno 2012

«Fermate questo scempio, per dio!». Una signora s'inviperisce su Facebook perché la mamma di Federico Aldrovandi avrebbe chiesto il carcere per i colpevoli della morte di suo figlio. Usa il maiuscolo come a dire che vorrebbe urlarlo e dà la stura ai commenti sul profilo. Ma la signora non è una signora qualunque, è la presidentessa dell'associazione che è convinta che in Italia esista un problema di diritti umani per gente come i poliziotti della Diaz o i parà che torturarono i civili in Somalia o, appunto, i quattro agenti che il 25 settembre del 2005 incontrarono un ragazzo di 18 anni e lo fecero fuori in pochi minuti di "controllo di polizia".

Tre sentenze spiegano per filo e per segno le loro responsabilità nell'aver spezzato il cuore, mozzato il respiro, spaccato due manganelli addosso a quel ragazzo. L'associazione in questione, "Prima difesa", promuove anche corsi di guida e di tiro a segno per i suoi associati e ha perfino convinto a intervenire nel processo Aldrovandi un noto difensore dei diritti umani dei premier, Ghedini, l'avvocato di fiducia di un'altra vittima del sistema, Silvio Berlusconi. Ma niente da fare: quei quattro sono stati riconosciuti colpevoli e il Viminale ha addirittura promosso una transazione con i familiari dell'unica vittima di questa storia, Federico Aldrovandi, prima ancora che la Cassazione mettesse la parola fine alla vicenda.

Ma la signora urla su fb: «Fermate questo scempio, per dio!» e le risponde Forlani Paolo, probabilmente un omonimo di uno dei colpevoli o forse proprio lui, misteri di fb. «Ma hai (visto, ndr) che faccia di culo aveva sul tg... una falsa e ipocrita (Patrizia Moretti, ndr) spero che i soldi che ha avuto ingiustamente possa non goderseli come vorrebbe..... adesso non stò più zitto dico quello che penso e scarico la rabbia di sette anni di ingiustizie...». Forse è proprio uno dei quattro condannati. Altri tre funzionari di ps, per la cronaca, sono stati riconosciuti colpevoli da un altro processo per i depistaggi di quella mattina di settembre.

Forlani, però, si ritiene vittima di un'ingiustizia. La butta in politica. L'hanno incastrato «la politica e la mediaticità» e, con fiuto da segugio, urla (ossia usa il maiuscolo come la signora) anche lui: «Vergognatevi tutti, comunisti di merda...». Interviene tale Bandoli Sergio, fiero nella foto con il cappello da alpino: « La "madre" se avesse saputo fare la madre, non avrebbe allevato un "cucciolo di maiale", ma un uomo!».

Un distillato di violenza e ferocia in mezzo ad altri commenti di gente che discute se si debba scaricare il caricatore intero addosso a uno che non si è fermato a un posto di blocco oppure se si debba tenere un proiettile da parte per chi si dovesse avere a che dire del trattamento riservato al delinquente. Forlani insiste: «Noi paghiamo per le colpe di una famiglia che pur sapendo dei problemi del proprio figlio non hanno fatto niente x aiutarlo mi fa incazzare un pochino e stiamo pagando x gli errori dei genitori..... massimo rispetto per Federico ma mi dispiace noi non lo abbiamo ucciso, e con questo vi saluto».

Il massimo rispetto per Federico avrebbe potuto dimostrarlo quando ce l'aveva di fronte. Invece sfida «chiunque a leggere gli atti e trovare un verbale dove dice che Federico è morto per le lesioni che ha subito.». In realtà, non appena l'indagine si disincagliò, grazie a una controinchiesta della famiglia, la prima perizia disse che Federico morì per le conseguenze dell'incontro con i poliziotti, la sentenza di primo grado dirà dell'abnorme uso della violenza fisica da parte degli agenti, del «furioso corpo a corpo tra gli agenti di polizia e Federico, durante il quale vennero rotti due manganelli, con i quali colpirono l'Aldrovandi in varie parti del corpo, continuando dopo che lo stesso era stato costretto a terra e qui immobilizzato al suolo, nonostante i verosimili ma impari tentativi del ragazzo di sottrarsi alla pesante azione di contenimento che ne limitava il respiro e la circolazione». In secondo grado è stata sottolineata «l'estrema violenza» e le «modalità scorrette e lesive» degli agenti, «quasi volessero 'punire' Aldrovandi». Inevitabile la querela per diffamazione depositata nel pomeriggio di questa domenica da Patrizia Aldrovandi ai carabinieri di Ferrara.