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Caso Aldrovandi; la madre rifiuta le scuse... "quell'agente non merita il perdono"
Lorenza Pleuteri
Fonte: La Repubblica, 30 giugno 2012
30 giugno 2012

Dopo le offese su Facebook. "Non è sincero, doveva pensarci sette anni fa". Adesso chiede perdono e comprensione, per un "contegno estemporaneo e assurdo", il poliziotto che su Facebook ha postato insulti e frasi irripetibili dopo la sentenza della Corte di Cassazione, quella che ha confermato la condanna a tre anni e sei mesi per lui e i tre colleghi ritenuti colpevoli dell'omicidio colposo di Federico Aldrovandi.

Ma la madre del ragazzo di Ferrara, ucciso la mattina del 25 settembre 2005, delle scuse non sa che farsene. Patrizia Moretti non le accetta. Non le crede sincere. Non pensa siano spontanee. Vuole altro, questa donna. L'assunzione di responsabilità per la fine del figlio. Una legge che preveda e punisca il reato di torture. Un sistema di controlli, all'interno delle forze di polizia, che consenta di prevenire comportamenti non ortodossi. La cacciata dalla polizia dei quattro condannati.

Signora Patrizia, Paolo Forlani ha fatto marcia indietro, dopo che lei lo ha querelato per le ingiurie e le minacce e dopo che il ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri ha annunciato sanzioni disciplinari. Dice di essersi trovato "in uno stato di sconforto e smarrimento". Si vergogna delle "frasi sciagurate" contro di lei, contro Federico e contro i ferraresi.

"Non è un bambino. Avrebbe dovuto pensarci prima. Usa questa tattica perché ha paura del procedimento disciplinare e vuole mitigare le conseguenze. Non credo che le parole di scuse e pentimento siano farina del suo sacco. Penso che gliele abbia scritte qualcun altro, magari l'avvocato. Se fosse una persona sincera, la coscienza avrebbe dovuto parlargli quasi sette anni fa. Avrebbe dovuto chiedere perdono quando ha colpito e schiacciato mio figlio, fino a togliergli la vita, assieme agli altri di pattuglia. L'errore che ammette è "solo" quello di Facebook, non il massacro di allora".

Nessuno spazio per il dialogo? Nessuna mediazione possibile?

"No. Adesso è tardi, inutile E le scuse non fanno che peggiorare la situazione. Forlani sostiene che per sette anni ha "invano cercato di esprimere" le sue ragioni e che nessuno lo ha ascoltato e capito. Non è vero. Lui e i colleghi all'inizio si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, sperando di riuscire a farla franca. Non è stato buono e zitto. Mi ha pure querelato. Lo hanno fatto altri, pure il primo pm. Abbiamo respirato per anni un clima di minacce e intimidazioni. E le indagini, lo dice un'altra sentenza, sono state depistate".

Lei che cosa vorrebbe, adesso?

"Non credo che i poliziotti non andranno in prigione, perché tre anni sono indultati e perché potrebbero avere misure alternative. Spero che restino senza divisa, senza pistola, senza lavoro in polizia. Non ho fretta, fiducia sì. Mi hanno portato via Federico, non ho più nulla da perdere. Ma questo non significa che mi rassegno. Anzi. Continuo a combattere. Per lui, per Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Michele Ferulli, per quell'altro uomo picchiato a Milano".

Federico è il primo, in questo tragico elenco. Come è possibile che, dopo, siano morte altre persone in discusse operazioni di polizia, carabinieri, vigili urbani?

"Ce ne erano anche in anni precedenti. La differenza è che da qualche tempo su questi casi c'è interesse. La stampa è attenta, i nuovi media mettono in circolo informazioni, video, documentazione. E tra noi familiari si sono creati legami profondi, solidi. Il problema è che all'interno delle forze dell'ordine resiste la cultura della violenza, fisica, verbale, intimidatoria. Politici e dirigenti non possono tollerare, fingere di non sapere. Le istituzioni devono muoversi. In Italia il reato di tortura non esiste. Andrebbe introdotto, anche per le "divise" che seviziano, feriscono, uccidono. Non può essere che si proceda per semplici lesioni o per abuso d'ufficio. E servirebbe anche un sistema di controlli interni, per individuare le teste calde, per frenare comportamenti fuori controllo, evitare abusi".

Su Facebook le foto degli agenti condannati, con nomi e cognomi, anni di nascita e la scritta "poliziotti pregiudicati" vengono condivise da migliaia di persone...

"Era ora. Quando sono arrestati cittadini comuni, anche per reati banali, le foto vengono divulgate. Non vedo perché per loro, condannati in modo definitivo, dovrebbero esserci eccezioni".