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Aldrovandi, perché la pm lasciò l'inchiesta
Tra i «bad boys» delle famiglie bene di Ferrara coinvolti nello spaccio anche il figlio del magistrato. Che si difende: tirato in mezzo per colpire mia madre
Cinzia Gubbini
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)
11 luglio 2007

Viene a galla l'ennesimo brutto retroscena sul caso della morte di Federico Aldrovandi, per la quale sono stati rinviati a giudizio quattro poliziotti di Ferrara accusati di omicidio colposo. E non nel migliore dei modi. Qualcuno ricorderà che il primo pubblico ministero che seguì l'inchiesta, Mariaemanuela Guerra, il 16 marzo scorso abbandonò l'indagine. Motivi famigliari, affermò. Nella lettera di dimissioni la pm fa riferimento a un messaggio comparso sul blog dedicato a Federico, in cui un anonimo accennava al fatto che suo padre era stato operatore di polizia.
Ora si scopre quale - con molta probabilità - è stato il vero motivo alla base della rinuncia della pm: suo figlio, il ventiquattrenne Mattia Carrà, è indagato per spaccio di stupefacenti.
In realtà da molto tempo la notizia circolava in modo ufficioso. Circa un mese fa il deposito degli atti e l'avviso di chiusura dell'indagine. Undici gli indagati, tra cui due minorenni. Ieri il giornale La Nuova Ferrara ha raccontato la storia di questo giro di spaccio di marijuana e hashish che coinvolgerebbe diversi rampolli della Ferrara bene, ribattezzati i «bad boys». C'è anche un'intervista all'avvocato Giovanni Flora, difensore del figlio della pm. Parole pesanti: «Certe dichiarazioni accusatorie - dice - vengono fuori nel momento clou dell'indagine sul ragazzo deceduto e che poi hanno portato il magistrato ad astenersi. Io non sono abituato a fare dietrologia, ma mi sembrano troppo coincidenti questi fatti». Insomma, il figlio della pm sarebbe stato messo in mezzo per colpire sua madre. Ieri sul blog della famiglia Aldrovandi è comparso un messaggio della madre di Federico. Patrizia Moretti ricorda che le attività di indagine della pm si erano limitate a sentire principalmente gli amici di Federico, nel quadro di «indagini a senso unico» mirate a dimostrare che si trattava «di una morte per droga». E sulle insinuazioni avanzate da Flora osserva: «Prendo ancora una volta atto che per l'ex pm Federico sarebbe quindi responsabile, oltre che della propria morte, anche dei guai giudiziari di suo figlio per spaccio di droga a minori».
Ma come è andata? Cosa succedeva nella Procura di Ferrara quando è iniziata l'indagine a carico di Mattia Carrà e mentre Mariaemanuela Guerra indagava sul caso Aldrovandi? E' il 21 gennaio dell'anno scorso. Sono passati quattro mesi dalla morte di Federico. Alla questura di Ferrara si presenta un ragazzo di 17 anni. A.V. quel pomeriggio è stato beccato dalla madre con 170 euro nel portafogli: la donna, che già sospettava strani giri, lo convince a confessare tutto. Lui, infatti, racconta. Dice che la persona che inizialmente lo aveva rifornito di marijuana è una tale Mattia, di cui non conosce il cognome ma solo il numero di cellulare. Sa soltanto che è figlio di persone importanti di Ferrara. Particolari riportati nella annotazione che il capo della squadra mobile di Ferrara, Piero Scroccarello (impegnato anche nelle indagini su Federico), redige e invia il 24 gennaio al procuratore generale Severino Messina. A Scroccarello A. V. mostra un foglio in cui aveva scritto i nomi di alcuni ragazzi che si rifornivano da lui: tra questi c'è anche Luca Pagliarini, un amico di Aldrovandi. «La dichiarazione - scrive Scroccarello - faceva alzare la soglia di attenzione allo scrivente che coglieva potenziali implicazioni con la vicenda di Aldrovandi». Insomma, A.V. non fa mai il nome di Federico (e non lo farà per tutta l'inchiesta). E' Scroccarello che trae le sue conclusioni. Il dirigente della squadra mobile si precipita in Procura per parlare con la pm Guerra, che lette le dichiarazioni di A. V. «rimaneva sorpreso ed affermava che quel Mattia era sicuramente suo figlio e che l'utenza era intestata a lui». Dunque: Guerra sa che suo figlio sta per finire sotto indagine il 21 gennaio e che secondo la polizia la vicenda si lega al caso Aldrovandi. Ma lei lascia solo il 14 marzo.
Non finisce qui. Durante l'inchiesta condotte dal pm Filippo Di Benedetto, fatte di molti interrogatori e intercettazioni, nessuno fa mai il nome di Federico. Tranne una persona: Mattia Carrà. Interrogato il 31 marzo nega di essere uno spacciatore, ma di aver ceduto solo una volta ad A. V. una piccola dose di marijuana. Quando gli viene chiesto come mai, secondo lui, A. V. lo accusa, risponde: «So che lui conosceva molto bene Federico Aldrovandi, in questo periodo mia madre è stata molto attaccata, e non vorrei che l'avesse fatto perché ero figlio del magistrato che ha condotto l'inchiesta». Va notato che è lo stesso Scroccarello ad osservare che la deposizione di Mattia «contiene alcune contraddizioni» volte a attenuare la sua responsabilità, tanto che «ne consegue un giudizio sulla credibilità di Carrà nettamente negativo».
Le indagini sono appena concluse e il giovane Carrà non ha patteggiato, come ha fatto la maggior parte degli indagati. Le dichiarazioni del suo avvocato, però, hanno fatto andare su tutte le furie il legale Piero Giubelli, che difende il minorenne da cui tutto è cominciato: «Si vuole far credere - denuncia - che la sua confessione sia stata determinata dalla volontà di costringere la dottoressa Guerra ad astenersi dal caso Aldrovandi. Non è assolutamente vero. Piuttosto, i riscontri oggettivi sulle dichiarazioni del mio assistito sono numerose». E promette di renderli noti se ci saranno altri attacchi mediatici «velatamente diffamatori».