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Nel 2005 già 29 morti in carcere, sotto accusa il servizio sanitario
Fonte: Ansa, 4 maggio 2005
4 maggio 2005

Dall'inizio del 2005 si sono verificati almeno 29 casi di morte nelle carceri italiane, dei quali 21 suicidi, 4 per cause ancora da accertare, 3 per malattia e 1 per omicidio. Questi sono i dati contenuti nel dossier "Morire di carcere" diffuso dal Centro studi di Ristretti Orizzonti. "Per la mancanza dal 2001 di dati ufficiali da parte delle istituzioni - spiega Francesco Morelli, detenuto in misura alternativa e responsabile dell'ufficio stampa del Centro studi - riteniamo necessario far conoscere a tutti una realtà spesso ignorata che viene alla ribalta solo quando si verificano casi eclatanti". Il centro studi di Padova, gestito e organizzato da detenuti e volontari, ha intenzione di dare un nome e una storia ai tanti decessi che avvengono annualmente negli istituti penitenziari italiani e lo fa attraverso una raccolta di articoli pubblicati su varie testate giornalistiche.
"Vogliamo mettere in evidenza le problematiche legate alla situazione vissuta dai detenuti nelle carceri del nostro Paese - sottolinea Morelli - oltre ai vuoti e le lacune che anche l'informazione ha". "I suicidi sono un pugno nello stomaco - aggiunge Morelli - ed è emblematico il caso del sindaco di Roccaraso, suicidatosi dopo un giorno di reclusione".
I detenuti si tolgono la vita con i lacci delle scarpe, il cordone della tuta, l'elastico dei boxer, oppure con sacchetti di plastica. "Eppure - denuncia Morelli - nel 1988 l'allora ministro Conso aveva istituito il Servizio Nuovi Giunti destinato alla prevenzione dei suicidi attraverso un sostegno anche psicologico, tuttavia - prosegue - tale servizio attualmente è attivo in 20 carceri su 205 presenti sul territorio nazionale". Per il centro studi Ristretti orizzonti la mancanza di un sostegno psicologico non è l'unico problema all'interno degli istituti di reclusione italiani.
Anche l'assistenza medica lascia a desiderare. Un esempio è il caso del tunisino Nabil Jlassi, condannato per l'omicidio di un muratore, e morto nel carcere di Cagliari a 32 anni per problemi cardiaci perché rifiutava le cure incompatibili con la sua fede religiosa, nonostante la richiesta di terapie alternative. Oppure Carlo, morto durante il trasposto in ospedale, e detenuto a Como nella sezione dei tossicodipendenti dove, come scrivono due detenuti a Radio Radicale, i tossici "non vengono curati ma imbottiti di tranquillanti".